Per noi che frequentavamo il territorio comanche (“tu non vedi i fucili, ma i fucili vedono te”) la normalità arrivava dopo tre giorni, il tempo necessario per spezzare l’altra normalità. Tutte le paure avvenivano in quei giorni perché non ti eri ancora abituato agli spari, ad avere un mitra in testa, o a una bomba al ristorante. Poi diventava “normale”, ti addormentavi con la colonna sonora delle granate, ti mettevi al riparo quando cominciavano a sparare. Ricordo che a Valona le bande si affrontavano sempre all’ora di pranzo e maledicevi l’interruzione forzata di un piatto di spaghetti. Succedeva anche al contrario, quando da quella normalità di guerra tornavi a casa. Quando ci spararono alle porte di Baghdad ricordo che per mesi a Roma mi prendeva un colpo quando vedevo un pick-up.
Ecco perché saremo diversi.
Dopo mesi con il virus ci sembra che il mondo sia questo mondo, che la vita debba andare avanti così. Ci metteremo molto, a fatica, a ripristinare la normalità pregressa. Sono anche convinto che fra tre giorni, quando si aprirà un varco, soltanto un manipolo d’incoscienti si avvierà in massa verso la nuova situazione. Ma la maggior parte di noi stenterà a riadattarsi, metteremo in acqua un piede per volta, spaventati dal mare. Non si tratta di essere più buoni o più cattivi, saremo quel che siamo sempre stati, ma torneranno paure ancestrali proprio nel momento della libertà riconquistata. Tornando alle guerre, ho sempre pensato quanto sia difficile spiegare la pace a un ragazzo che vive in zone a rischio, ma ho anche pensato quanto sia molto più difficile spiegare la guerra a un nostro ragazzo.
Ecco, noi abbiamo scoperto la guerra. Sarà complicato riadattarci alla pace.
LA CAMERA IPERBARICA
Torniamo a parlare di normalità, tema discusso per tante notti tra frequentatori del mondo difficile. Per entrare a Kabul o Baghdad la porta era sempre Dubai. In genere si arrivava tardi per la coincidenza con l’aereo locale e quindi bisognava stare almeno fino alla mattina successiva dando addio con molto piacere al mondo civile. Ma il crocevia acquistava importanza soprattutto al ritorno, dopo un mese abbondante di Afghanistan o Iraq. La Rai era ancora un’azienda seria e permetteva due, o anche tre giorni di quella che chiamavamo la “camera iperbarica”. Non si poteva rientrare a casa direttamente così, da selvaggi, dopo magari aver dormito dentro il sacco a pelo, vestiti, senza doccia, insomma in condizione precaria.
Ricordo bene, per averla passata molte volte, quella condizione. Mossa 1: doccia volante poi bagno in vasca sommersi da una schiuma tipo Hollywood, minimo due ore. Mossa 2: prima notte a letto completamente nudi per riassaporare il piacere delle lenzuola fresche. Mossa 3: cena al Fish Market, dove compravi il pesce fresco dai cinesi e poi passavi al ristorante dove lo cucinavano come volevi te. Secondo giorno. Normalmente io andavo allo Sheraton e dunque pranzo al ristorante italiano, si chiamava Venezia, dove riassaporavi una matriciana con i fiocchi dopo settimane di pollo fritto. Poi nell’ordine massaggi a go go e visita al centro commerciale dove sfogavi giorni di astinenza dedicandoti allo shopping compulsivo, detto anche dagli psichiatri “oniomania”. Tentavi regolarmente di fare due passi tornando in albergo a piedi ma era impossibile perché Dubai non è una città per pedoni per cui dopo un paio d’ore di sottopassi e saliscendi sfiorando di essere investito fermavi un taxi e ti facevi portare nell’unica zona da passeggio insieme a filippini e domestici vari calpestando giardini e fiori finti dove i bambini giocavano pure a pallone. Evitavi piscine in mezzo al cemento dove tanti strani turisti amavano abbronzarsi. Talvolta allora ti spingevi nella strada dell’oro rigorosamente frequentata dal popolo indigeno. In genere preferivo andare a cercare gabbiani intorno ai pescherecci in quello che chiamavano mare ma era solo un canale. Cena di nuovo in albergo, stremati dal recupero, non prima di aver visitato il barber shop dove un cinesino, anche qui, ti restituiva sembianze umane al ritmo di “yes sir”.
Il giorno dopo potevi finalmente tornare a casa, senza rischiare di non essere riconosciuto dalla famiglia.
Non so come potrebbe essere una camera iperbarica post coronavirus. Ma credo che il commercio folle probabilmente ci rientrerà, vi farò sapere pubblicando intanto un piccolo scorcio del duty free dell’aeroporto degli Emirati giusto per visualizzare il fermento di tentazioni. Non l’ho fatto per piacer mio….ma magari per portare un regalo a mio figlio, così mi perdonava.
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